In questa relazione si intende fornire a chi effettivamente lavorerà nei campi-gioco, cioè coloro che staranno giornalmente a diretto contatto col bambino, una serie di parametri che costituiscono a nostro avviso più che altro l'intelaiatura all'interno della quale ogni operatore, tenendo conto della realtà socio-culturale che lo circonda, delle sue inclinazioni nonché delle caratteristiche dei bambini coi quali deve lavorare, dovrà muoversi e nella quale potrà verificare sia il senso delle attività e dei giochi sia delle dinamiche e le implicazioni di carattere psico-pedagogico che sono insite nel suo rapporto con i bambini e nei rapporti dei bambini fra di loro.
Non si tratta quindi di propinare programmi e soluzioni già fatte poiché una dettagliata "prefigurazione" di come "dovrà essere" la giornata dei bambini e dei ragazzi nei campi-gioco sarebbe prima di tutto velleitaria e soprattutto presuntuosa come presuntuosi sono tutti i testi di pedagogia, i quali pretendono di dare in astratto modi, contenuti finalità e tempi come se il bambino vivesse sotto una campana di vetro e la pratica pedagogica fosse un esperimento di laboratorio.
Si tratta quindi di fornire nei limiti della presente esperienza e, non dimentichiamolo, della nostra esperienza, strumenti di intervento, di verifica e di critica.
E' implicita in una impostazione di questo genere una critica prima di tutto a quei tipi di esperienza che potremmo definire di esasperazione contenutistica e che a nostro parere si esprimono in maniere diverse, ed apparentemente contraddittorie fra di loro.
Chiarifichiamo: per esasperazione contenutistica intendiamo quella tendenza da parto dell'educatore o del collettivo degli educatori a proporre al bambino uria serie di tematiche che, per la sottovalutazione sia del modo con cui sono poste, sia degli interessi, dell’interlocutore più interessato (ilbambino), finiscono col riproporre gli schemi, i modelli e perfino contenuti che si vorrebbero rifiutare e che sono quelli propinati da quelle istituzioni (famiglia, scuola, etc.) che sono in una crisi storica e che ormai quasi unanimemente vendono criticate e, in tutti i casi, poste in discussione.
Quali sono questi indirizzi?
Prima di tutto la tendenza a proporre dei contenuti alternativi va rifiutata a nostro avviso in quanto che, oltre a dare quasi sempre al bambino questi contenuti ricalcando pari pari le modalità e diremmo quasi i riti con cui sono posti i contenuti regressivi da parte delle istituzioni - tende a sovrapporre in ogni caso l'ideologia dell'adulto agli interessi reali del bambino (spiegheremo dopo cosa intendiamo per interessi reali), e non solo, ma a indurre così modelli di comportamento falsamente o superficialmente critici nei confronti dei valori che l'adulto intende criticare e, in tutti i casi, opportunistici e piattamente imitativi nei confronti dell'educatore.
Conclusione: i contenuti, alternativi per il bambino, specialmente per i più piccoli, non significano niente di alternativo.
Molto schematicamente: fare un gruppo di interesse sulla conoscenza dell'ambiente socio-economico circostante in sé e per sé non ha alcun significato alterativo rispetto ad una qualsiasi lezione o ricerca che il bambino fa a scuola se dentro quest'esperienza non passa un diverso modo di rapportarsi dell’educatore col bambino e dei bambini fra li loro.
Ma questo diverso modo di rapportarsi non deve significare a nostro avviso cadere nella tendenza che è speculare di quella precedente: cioè lo spontaneismo e l’ anti- autoritarismo .
Questo tipo di impostazione parte da una giusta critica dell'autoritarismo e dell’adultocentrismo delle impostazioni reazionarie e paternalistiche. Ma lasciando il bambino " libero” si libera in effetti quello che c'è già e cioè i contenuti e i modi che le istituzioni regressive gli propongono dalla mattina alla sera; e proponendosi di non sovrapporsi al bambino e di lasciare "libero spazio" ai suoi interessi non si fa che scatenare quelle esigenze, le tendenze che gli derivano da quegli interessi che non sono reali (ecco cosa intendevano dire prima) ma che sono indotti.
Ciò può condurre nel peggiore dei casi al caos ed allo sviluppo di una violenza e di una aggressività che sono esse stesse indotte dalla violenza dei rapporti alienanti all'interno dei quali quotidianamente il bambino si trova inserito. Nel migliore dei casi si riesce ad attenuare nel bambino l'urgenza derivante da quelle che abbiano definito esigenze e tendenze indotte dagli schemi di comportamento alienati facendolo "scaricare", ma non gli si danno gli strumenti che favoriscano in lui l'accrescere delle sue possibilità di conoscenza.
Abbiamo sottolineato “no si danno” perchè la critica fondamentale da farsi agli spontaneisti ed agli antiautoritari è proprio qui: nel fatto che, da parte loro si mistifica il ruolo dell'adulto: fingendo di porsi come uguali al bambino in effetti ci si pone in una posizione molto comoda, ma profondamente sbagliata.
L’adulto non è uguale al bambino, non può porsi come spettatore di fronte alla sua crescita, e se lo fa non esercita nessuna funzione educativa, ma, poiché l'educatore è lui e come tale è vissuto dal bambino (non fosse altro che per il fatto che è adulto), in effetti esercita una funzione educativa che è quella o di permettere che passi tutto quello che gli altri adulti (cioè la società attuale) intendono di far passare o al massimo di fare da camera di decompressione.
Ad esempio, chiunque abbia esperienza di lavoro con i bambini sa che la loro tendenza, se abbandonati a se stessi, dopo un momento iniziale di presa di coscienza del fatto che non c’è nessuna figura prevaricatrice nei loro confronti, e quella di scatenarsi in giochi violenti e movimenti caotici e di assumere nel gioco e nelle altre attività un atteggiamento piattamente imitativo della realtà degli adulti (calcio per i maschi, gioco delle bambole per le bambine).
Conclusione: tutti gli adulti, in quanto tali, prevaricano nei confronti dei bambini.
La prevaricazione però può essere negativa cioè castrante, regressiva, passivizzante, ect., ma può essere anche positiva cioè liberatoria, stimolante, generatrice dell'accrescersi delle possibilità di conoscenza del bambino.
Con la critica a quelli che a nostro avviso sono gli indirizzi da evitare non abbiamo voluto fare un discorso astratto e non attinente al tema, ma prima di tutto dire quello che per noi non va fatto nell'impostazione del rapporto col bambino e, in secondo luogo, far scaturire dalla critica qual è il senso che le attività, i giochi, cioè i centri di interesse debbono avere.
Diciamo anche "giochi" perché è importante sottolineare che i giochi non sono da intendersi come qualcosa di diverso e di contrapposto alle attività "serie", di apprendimento, così come la scuola è abituata a farceli considerare, ma vanno recuperati e quindi reimpostati come strumenti e occasioni di maturazione e di crescita.
Il senso che l'attività del campo-giochi deve avere e quindi il come formare i centri di interesse è dato quindi, a nostro parere, dal concorrere di alcuni punti tutti ugualmente importanti.
In primo luogo è necessario partire, come si diceva all'inizio, dalla realtà socio-economica e culturale nella quale si opera: il bambino di Costa non è uguale a quello di Castelnovo Monti Centro, e quello di Castelnovo M. non è uguale a quello di Reggio, così come diversi sono i bambini del centro Storico da quelli della periferia di Reggio. Quindi non si può pensare di far fare a tutti le stesse cose, e non si può pretendere di avere sempre e dappertutto gli stessi risultati, poiché la stessa cosa a Costa sarebbe fatta in una maniera, a Reggio in un'altra, magari più bella formalmente, ma con lo stesso significato per i ragazzi.
In secondo luogo pensiamo sia necessario riuscire a luogo per luogo gli interessi indotti da quelli reali dei bambini, e questo si può ottenere qualora non si perdano di vieta alcune cose che non sono difficili da individuare:
1) L'età del bambino — All'interno di uno stesso Centro di interesse le attività debbono essere impostate diversamente per il bambino di 6 anni che per quello di 12. Il primo ha bisogno di realizzare, di concretizzare quello che sta facendo in un tempo molto più limitato del secondo.
Infatti il bambino di 6 anni non ha le capacità di differire e di programmare a lunga scadenza. Quindi l'attività stessa deve essere articolata sia per quello che si diceva prima, sia perché altrimenti si risolve nel non lasciare al bambino piccolo un suo spazio di espressione e di creatività.
2) La storia che ogni bambino ha - Cioè tener conto dell'esperienza familiare e scolastica del bambino, di come lui si percepisce e di come lo percepiscono gli altri. Ciò, è chiaro, non per fare una fotografia, ma per impostare realmente una attività di gruppo che parte da un punto dato che è il bambino come egli giunge al campo-gioco (valutato o "non valutato" in una certa maniera dalla scuola, condizionato dalla famiglia, portato dall'ambiente alla competizione e quindi frustrato e prepotente ect.) per arrivare non ad una improponibile creazione di un bambino diverso, ma semplicemente al potenziamento della sua area di sviluppo autonomo; conoscenza di nuovi strumenti, di nuovi giochi, dì modi diversi di usare quelli attuali ect. -
Se poi in prospettiva i campi-gioco possono diventare dei momenti per l'infanzia che abbiano carattere di continuità anche durante il periodo scolastico, il potenziamento dell'area di sviluppo autonomo del bambino significherebbe rafforzare considerevolmente l’identità del bambino, aumentarne le possibilità di conoscenza e favorire un uso creativo di questa aumentata capacità, anche se a questo livello aumenterebbero alcuni rischi che sono insiti in tutte le attività extrascolastiche cioè quella di diventare una sorta di antidoto, di valvola di scarico.
Ma se si parte dal reale, dove per reale si intende sia il mondo circostante il bambino sia il bambino stesso, e se la prevaricazione dell'adulto è positiva nel senso che si diceva prima, anche se non si evitano del tutto questi rischi, la loro pericolosità può essere attenuata.
3) Infine è fondamentale considerare cosa è, e come è organizzato un campo-gioco.
Infatti la partecipazione libera, la possibilità per il bambino di frequentare in certi momenti e in altri no, di andarsene quando se ne ha voglia, fa si che non possa contare su gruppi fissi tali che in sé stessi tengano legato il bambino sui tempi predeterminati, ma si debba considerare che molto per non dire tutto, è basato sul ruolo dell'educatore, sulla sua capacità di diventare un punto di riferimento che dia continuità all'attività, conservi e tramandi le esperienze del giorno prima, del momento prima, del bambino che quel giorno non è presente.
Non si tratta quindi di propinare programmi e soluzioni già fatte poiché una dettagliata "prefigurazione" di come "dovrà essere" la giornata dei bambini e dei ragazzi nei campi-gioco sarebbe prima di tutto velleitaria e soprattutto presuntuosa come presuntuosi sono tutti i testi di pedagogia, i quali pretendono di dare in astratto modi, contenuti finalità e tempi come se il bambino vivesse sotto una campana di vetro e la pratica pedagogica fosse un esperimento di laboratorio.
Si tratta quindi di fornire nei limiti della presente esperienza e, non dimentichiamolo, della nostra esperienza, strumenti di intervento, di verifica e di critica.
E' implicita in una impostazione di questo genere una critica prima di tutto a quei tipi di esperienza che potremmo definire di esasperazione contenutistica e che a nostro parere si esprimono in maniere diverse, ed apparentemente contraddittorie fra di loro.
Chiarifichiamo: per esasperazione contenutistica intendiamo quella tendenza da parto dell'educatore o del collettivo degli educatori a proporre al bambino uria serie di tematiche che, per la sottovalutazione sia del modo con cui sono poste, sia degli interessi, dell’interlocutore più interessato (ilbambino), finiscono col riproporre gli schemi, i modelli e perfino contenuti che si vorrebbero rifiutare e che sono quelli propinati da quelle istituzioni (famiglia, scuola, etc.) che sono in una crisi storica e che ormai quasi unanimemente vendono criticate e, in tutti i casi, poste in discussione.
Quali sono questi indirizzi?
Prima di tutto la tendenza a proporre dei contenuti alternativi va rifiutata a nostro avviso in quanto che, oltre a dare quasi sempre al bambino questi contenuti ricalcando pari pari le modalità e diremmo quasi i riti con cui sono posti i contenuti regressivi da parte delle istituzioni - tende a sovrapporre in ogni caso l'ideologia dell'adulto agli interessi reali del bambino (spiegheremo dopo cosa intendiamo per interessi reali), e non solo, ma a indurre così modelli di comportamento falsamente o superficialmente critici nei confronti dei valori che l'adulto intende criticare e, in tutti i casi, opportunistici e piattamente imitativi nei confronti dell'educatore.
Conclusione: i contenuti, alternativi per il bambino, specialmente per i più piccoli, non significano niente di alternativo.
Molto schematicamente: fare un gruppo di interesse sulla conoscenza dell'ambiente socio-economico circostante in sé e per sé non ha alcun significato alterativo rispetto ad una qualsiasi lezione o ricerca che il bambino fa a scuola se dentro quest'esperienza non passa un diverso modo di rapportarsi dell’educatore col bambino e dei bambini fra li loro.
Ma questo diverso modo di rapportarsi non deve significare a nostro avviso cadere nella tendenza che è speculare di quella precedente: cioè lo spontaneismo e l’ anti- autoritarismo .
Questo tipo di impostazione parte da una giusta critica dell'autoritarismo e dell’adultocentrismo delle impostazioni reazionarie e paternalistiche. Ma lasciando il bambino " libero” si libera in effetti quello che c'è già e cioè i contenuti e i modi che le istituzioni regressive gli propongono dalla mattina alla sera; e proponendosi di non sovrapporsi al bambino e di lasciare "libero spazio" ai suoi interessi non si fa che scatenare quelle esigenze, le tendenze che gli derivano da quegli interessi che non sono reali (ecco cosa intendevano dire prima) ma che sono indotti.
Ciò può condurre nel peggiore dei casi al caos ed allo sviluppo di una violenza e di una aggressività che sono esse stesse indotte dalla violenza dei rapporti alienanti all'interno dei quali quotidianamente il bambino si trova inserito. Nel migliore dei casi si riesce ad attenuare nel bambino l'urgenza derivante da quelle che abbiano definito esigenze e tendenze indotte dagli schemi di comportamento alienati facendolo "scaricare", ma non gli si danno gli strumenti che favoriscano in lui l'accrescere delle sue possibilità di conoscenza.
Abbiamo sottolineato “no si danno” perchè la critica fondamentale da farsi agli spontaneisti ed agli antiautoritari è proprio qui: nel fatto che, da parte loro si mistifica il ruolo dell'adulto: fingendo di porsi come uguali al bambino in effetti ci si pone in una posizione molto comoda, ma profondamente sbagliata.
L’adulto non è uguale al bambino, non può porsi come spettatore di fronte alla sua crescita, e se lo fa non esercita nessuna funzione educativa, ma, poiché l'educatore è lui e come tale è vissuto dal bambino (non fosse altro che per il fatto che è adulto), in effetti esercita una funzione educativa che è quella o di permettere che passi tutto quello che gli altri adulti (cioè la società attuale) intendono di far passare o al massimo di fare da camera di decompressione.
Ad esempio, chiunque abbia esperienza di lavoro con i bambini sa che la loro tendenza, se abbandonati a se stessi, dopo un momento iniziale di presa di coscienza del fatto che non c’è nessuna figura prevaricatrice nei loro confronti, e quella di scatenarsi in giochi violenti e movimenti caotici e di assumere nel gioco e nelle altre attività un atteggiamento piattamente imitativo della realtà degli adulti (calcio per i maschi, gioco delle bambole per le bambine).
Conclusione: tutti gli adulti, in quanto tali, prevaricano nei confronti dei bambini.
La prevaricazione però può essere negativa cioè castrante, regressiva, passivizzante, ect., ma può essere anche positiva cioè liberatoria, stimolante, generatrice dell'accrescersi delle possibilità di conoscenza del bambino.
Con la critica a quelli che a nostro avviso sono gli indirizzi da evitare non abbiamo voluto fare un discorso astratto e non attinente al tema, ma prima di tutto dire quello che per noi non va fatto nell'impostazione del rapporto col bambino e, in secondo luogo, far scaturire dalla critica qual è il senso che le attività, i giochi, cioè i centri di interesse debbono avere.
Diciamo anche "giochi" perché è importante sottolineare che i giochi non sono da intendersi come qualcosa di diverso e di contrapposto alle attività "serie", di apprendimento, così come la scuola è abituata a farceli considerare, ma vanno recuperati e quindi reimpostati come strumenti e occasioni di maturazione e di crescita.
Il senso che l'attività del campo-giochi deve avere e quindi il come formare i centri di interesse è dato quindi, a nostro parere, dal concorrere di alcuni punti tutti ugualmente importanti.
In primo luogo è necessario partire, come si diceva all'inizio, dalla realtà socio-economica e culturale nella quale si opera: il bambino di Costa non è uguale a quello di Castelnovo Monti Centro, e quello di Castelnovo M. non è uguale a quello di Reggio, così come diversi sono i bambini del centro Storico da quelli della periferia di Reggio. Quindi non si può pensare di far fare a tutti le stesse cose, e non si può pretendere di avere sempre e dappertutto gli stessi risultati, poiché la stessa cosa a Costa sarebbe fatta in una maniera, a Reggio in un'altra, magari più bella formalmente, ma con lo stesso significato per i ragazzi.
In secondo luogo pensiamo sia necessario riuscire a luogo per luogo gli interessi indotti da quelli reali dei bambini, e questo si può ottenere qualora non si perdano di vieta alcune cose che non sono difficili da individuare:
1) L'età del bambino — All'interno di uno stesso Centro di interesse le attività debbono essere impostate diversamente per il bambino di 6 anni che per quello di 12. Il primo ha bisogno di realizzare, di concretizzare quello che sta facendo in un tempo molto più limitato del secondo.
Infatti il bambino di 6 anni non ha le capacità di differire e di programmare a lunga scadenza. Quindi l'attività stessa deve essere articolata sia per quello che si diceva prima, sia perché altrimenti si risolve nel non lasciare al bambino piccolo un suo spazio di espressione e di creatività.
2) La storia che ogni bambino ha - Cioè tener conto dell'esperienza familiare e scolastica del bambino, di come lui si percepisce e di come lo percepiscono gli altri. Ciò, è chiaro, non per fare una fotografia, ma per impostare realmente una attività di gruppo che parte da un punto dato che è il bambino come egli giunge al campo-gioco (valutato o "non valutato" in una certa maniera dalla scuola, condizionato dalla famiglia, portato dall'ambiente alla competizione e quindi frustrato e prepotente ect.) per arrivare non ad una improponibile creazione di un bambino diverso, ma semplicemente al potenziamento della sua area di sviluppo autonomo; conoscenza di nuovi strumenti, di nuovi giochi, dì modi diversi di usare quelli attuali ect. -
Se poi in prospettiva i campi-gioco possono diventare dei momenti per l'infanzia che abbiano carattere di continuità anche durante il periodo scolastico, il potenziamento dell'area di sviluppo autonomo del bambino significherebbe rafforzare considerevolmente l’identità del bambino, aumentarne le possibilità di conoscenza e favorire un uso creativo di questa aumentata capacità, anche se a questo livello aumenterebbero alcuni rischi che sono insiti in tutte le attività extrascolastiche cioè quella di diventare una sorta di antidoto, di valvola di scarico.
Ma se si parte dal reale, dove per reale si intende sia il mondo circostante il bambino sia il bambino stesso, e se la prevaricazione dell'adulto è positiva nel senso che si diceva prima, anche se non si evitano del tutto questi rischi, la loro pericolosità può essere attenuata.
3) Infine è fondamentale considerare cosa è, e come è organizzato un campo-gioco.
Infatti la partecipazione libera, la possibilità per il bambino di frequentare in certi momenti e in altri no, di andarsene quando se ne ha voglia, fa si che non possa contare su gruppi fissi tali che in sé stessi tengano legato il bambino sui tempi predeterminati, ma si debba considerare che molto per non dire tutto, è basato sul ruolo dell'educatore, sulla sua capacità di diventare un punto di riferimento che dia continuità all'attività, conservi e tramandi le esperienze del giorno prima, del momento prima, del bambino che quel giorno non è presente.